Sant’ Angela da Foligno

Tela di Angela da Foligno, autore ignoto, Foligno, Sacrestia della Chiesa di San Giacomo, Piazza San Giacomo

Riferimenti Storici

La storia esterna di Angela, madre, vedova e illetterata (dichiarata poi Maestra dei teologi), si riduce a poche notizie. Nasce a Foligno attorno al 1248, ventidue anni dopo la morte di san Francesco d’Assisi e, grazie ai terreni e ai palazzi posseduti dalla sua famiglia dentro e fuori le mura della città, vive la sua giovinezza in un ambiente ricco e agiato sorretta dall’affetto di una mamma che l’adora.
Non conosciamo la sua casata né il padre, per cui si può ipotizzare che sia rimasta orfana in tenera età. Lella (così è chiamata familiarmente in casa) è una ragazza bella, intelligente, volitiva e anche ricca: un cocktail esplosivo per una donna medievale, come per una donna dei nostri giorni. Lo confesserà più tardi lei stessa: ’Sappiate che per tutto il tempo della mia vita ricercai come potessi essere adorata e onorata’. Questa sete di adulazione e di ricerca incessante delle vanità della vita la allontana ben presto dalla pratica religiosa e forse anche dalla fede, e neppure il matrimonio, contratto in giovane età con un signorotto locale, e i figli che presto dà alla luce, riescono a riportarla sulla retta via. Nonostante le cattive abitudini forse troppo consolidate, Angela tuttavia riesce a trovare una risposta positiva al fallimento della sua vita, grazie anche agli straordinari avvenimenti verificatisi in quegli anni a Foligno (i terribili terremoti del 1279 e del 1282, una disastrosa alluvione e la guerra con Perugia), che turbano profondamente i suoi cittadini, alcuni dei quali sentono l’impellente bisogno di una più severa condotta di vita.

Su Angela influisce in modo particolare l’esempio, davvero straordinario, di Pietro Crisci, detto Pietruccio, suo concittadino, che aveva venduto tutto il suo ingente patrimonio e lo aveva distribuito ai poveri per una vita di severa ascesi e di preghiera. Lei, che in primo tempo si era fatta beffe di lui, rimane poi molto colpita dalla sua serenità spirituale e si sente attratta ad imitarlo; dopo un periodo di vita mondana e spensierata presumibilmente nel 1285, subisce un mutamento profondo che gradualmente la porterà ad un’altissima perfezione spirituale. Profondamente attratta dall’ideale di Francesco d’Assisi, nel 1291 entra a far parte del Terz’Ordine, aiutata dai frati francescani del vicino convento e soprattutto da uno di essi, frate Arnaldo, che è anche suo cugino. È lui che ascolta la sua prima confessione, che segna l’inizio della sua nuova vita, e sarà ancora lui a guidarla nella via della perfezione e a registrare in un libro le sue visioni. ’Nella pleiade delle grandi mistiche di cui è costellata la storia della chiesa, Angela brilla di uno splendore singolare, unico per l’intensità della sua esperienza, la profondità dei suoi concetti e l’ardita vivezza della sua espressione’ (I. Colosio, La beata Angela da Foligno, mistica per antonomasia, Firenze 1965, 3)
Angela muore nel 1309 confortata da numerosi discepoli per i quali, anni prima, aveva istituito un ’Cenacolo’ di vita spirituale e di azione sociale. Il suo corpo è venerato presso la chiesa di san Francesco dei frati minori conventuali a Foligno. Papa Francesco nel 2013  la dichiarerà santa.

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I passi 

Quest’anima fedele, parlando un giorno di Dio con una sua compagna, ebbe a dire di aver contato, per averli sperimentati, trenta passi o mutamenti che l’anima compie quando si incammina nella via della penitenza.

Il primo passo è la conoscenza del peccato: l’anima viene presa da un gran timore dell’inferno e piange lacrime amare.

Il secondo passo è la confessione: l’anima in esso prova vergogna e amarezza, ancora non sente l’amore, ma il dolore. Al riguardo mi riferì che si era molte volte accostata alla comunione avendo dei peccati nell’anima, poiché la vergogna le impediva di fare una completa confessione, e per questo notte e giorno veniva tormentata dalla coscienza. Un giorno, avendo pregato il beato Francesco che le trovasse un confessore esperto nel discernimento dei peccati, col quale potesse confessarsi bene, in quella stessa notte le apparve la figura di un vecchio frate che così le parlò: « Sorella, se me lo avessi chiesto prima, prima ti avrei accontentata. Ma ciò che chiedi ti è concesso ». L’indomani, corsi subito alla chiesa di S. Francesco. Sulla via del ritorno, trovai un frate che predicava nella chiesa di S. Feliciano, ed era il cappellano del vescovo. All’istante decisi, era Dio che in quel momento agiva in me di fare a lui una confessione generale, in questo passo l’anima prova ancora vergogna e non sente l’amore, ma il dolore.

Il terzo passo è la penitenza che l’anima compie per soddisfare a Dio per i propri peccati: essa si trova ancora nel dolore.

Il quarto passo la conduce alla conoscenza della misericordia di Dio: è Cristo che le ha concesso quella misericordia, fu lui a strapparla all’inferno. Ora l’anima comincia ad essere illuminata; piange e si duole piú di prima e si dà a compiere maggiori e piú aspre penitenze. Io, frate che scrivo, tengo a precisare che nei vari passi non ho raccontato la mirabile penitenza compiuta dalla fedele di Cristo, poiché l’appresi soltanto dopo aver già scritto i passi predetti.

Il quinto passo è la conoscenza di sé: l’anima, già alquanto illuminata, non vede in sé che difetti, si accusa davanti a Dio e si ritiene sicuramente degna dell’inferno.

Il sesto passo è una certa illuminazione della grazia per mezzo della quale mi si concedeva una profonda conoscenza di tutti i miei peccati: in questa luce vedevo di avere offeso tutte le creature che erano state create per me. Invocavo tutti i santi e la Vergine beata che intercedessero per me e supplicassero l’Amore, che mi aveva concesso tante grazie, affinché, vedendomi io morta mi facessero tornare viva. E mi pareva che tutte le creature e i santi provassero pietà di me.

Col settimo passo mi era concesso di contemplare la croce, nella quale vedevo il Cristo morto per noi. Ma era ancora una visione insipida, quantunque in essa io provassi gran dolore.

Ottavo passo. Mentre contemplavo la croce, mi fu data una sempre maggiore comprensione di come il Figlio di Dio era morto per i nostri peccati: cominciai a riconoscere tutti i miei peccati, provando le vette massime del dolore, e come fossi stata io a crocifiggerlo.

Col nono passo Dio mi concesse di mettermi alla ricerca della via della croce, affinché imparassi a stare ai piedi di essa dove trovano rifugio tutti i peccatori. E venni istruita, illuminata, e mi fu mostrata la via della croce con questa ispirazione: se volevo camminare verso la croce dovevo spogliarmi di ogni cosa, per procedere piú leggera, e in questa totale nudità avviarmi verso di essa. In altre parole, avrei dovuto perdonare a tutti quelli che mi avevano offesa, avrei dovuto spogliarmi di ogni bene materiale, di ogni uomo e donna, amico e parente, di tutti, e rinunciare ad ogni mio avere e a me stessa, e mi aveva dato’ e camminare per la spinosa via della tribolazione. Da quel momento cominciai a non indossare piú i miei vestiti piú belli, a semplificare le acconciature del capo, a ridurre il vitto. Ma tutto mi era amaro e penoso, poiché non sentivo ancora amore (in questo periodo vivevo con mio marito): che amarezza per me quando mi veniva lanciata un’ingiuria o fatto un torto! Tuttavia sopportavo ogni cosa pazientemente, come potevo. Avvenne poi, col permesso di Dio, che mia madre, che mi era stata di grande impedimento, morisse. A questa morte seguì quella del mio sposo e dei miei figli in breve giro di tempo. Poiché avevo iniziato la via della croce e pregato Dio di essere liberata da ogni legame terreno, provai consolazione alla loro morte: pensavo che per l’avvenire, avendomi Dio concesso tali grazie, il mio cuore sarebbe rimasto sempre unito al suo e il cuore di Dio sempre unito al mio.

Passo decimo. Chiedevo a Dio che cosa potessi fare per potergli piacere di piú, e lui, nella sua bontà, piú volte mi apparve crocifisso in croce durante il sonno e la veglia. Mi diceva di guardare le sue piaghe e mi faceva vedere in modo meraviglioso come ogni cosa aveva sofferto per me; e questo avvenne molte volte. Dopo mi faceva vedere ad uno ad uno tutti i dolori che aveva patito per me, e mi diceva: « Dunque, che puoi fare per me che ti sembri bastante? ». Così molte volte mi apparve mentre ero sveglia, ma con maggiore diletto per me di quando dormivo, anche se il suo aspetto era sempre quello di un uomo carico di dolori, e mi ripeteva le parole che mi aveva detto mentre dormivo, mostrandomi dal capo ai piedi tutte le sue sofferenze. Mi faceva vedere i peli divelti dalla barba, dalle sopracciglia, i capelli strappati dal capo; mi ricordava le flagellazioni patite, indicandomele una ad una, e mi diceva: « Tutte queste cose ho sofferto per te ». Allora mi tornavano alla mente le mie colpe, ma in un modo che mi lasciava incantata dalla meraviglia, e costatavo come anche di recente lo avevo ferito coi miei peccati, e ne provavo grande dolore, e mi veniva dalle mie colpe un’afflizione piú grande di quelle fino allora provate. Mentre contemplavo la sua passione, mi ripeteva sempre la frase: « Che puoi dunque fare per me che ti sembri bastante? ». Allora piangevo molto.

Passo undicesimo. Per le cose che ho detto, mi decisi a piú aspre penitenze. Questo passo, lunghissimo da descrivere, è pieno di cose che desterebbero meraviglia poiché vanno al di là delle forze umane: lo confermo espressamente io, frate che redigo questo scritto, e che son venuto a conoscenza, solo in un secondo momento, delle penitenze cui ella si sottoponeva.

Passo dodicesimo. Poiché capivo che non potevo sottopormi a una sufficiente penitenza mentre mi trovavo a vivere in mezzo al mondo, decisi di abbandonare totalmente ogni cosa per far penitenza e così giungere alla croce, come mi era stato ispirato da Dio. Da Dio infatti mi fu data, e in modo mirabile, questa ispirazione. Avevo cominciato a desiderare con tutto il cuore di farmi povera, e nel mio scrupolo mi trovavo spesso a pensare con timore che la morte poteva cogliermi prima che lo fossi diventata; contemporaneamente ero assalita da varie tentazioni: mi vedevo giovane e pensavo che il mendicare mi poteva essere di gran pericolo e vergogna, che sarei potuta morire di fame, freddo e nudità; e così tutti mi dissuadevano. Ma ecco che per la misericordia di Dio la mia anima fu improvvisamente illuminata a tal punto che in cuore mi nacque una tale fermezza che allora non credetti, né oggi credo, di poter mai perdere per l’avvenire. In questa luce, dunque, disposi e decisi che se mi dovesse succedere di dover morire di fame, nudità e vergogna secondo quello che era o poteva essere la volontà di Dio, queste tali cose non mi avrebbero fatto recedere dal mio proposito, anche se fossi stata certa che mi sarebbero accaduti tutti quei mali. Alla fine, se dovevano accadermi, sarei morta lieta nella volontà di Dio. E da quell’istante dissi veramente il mio sì.

Tredicesimo. Entrai nel dolore della Madre di Cristo e di san Giovanni e li pregai che mi ottenessero un segno sicuro: che avrei avuto sempre presente nella mia memoria la passione di Cristo. Ancora una volta mi apparve la stessa visione, poiché nel sonno mi fu mostrato il cuore di Cristo e mi fu detto: « In questo cuore non c’è menzogna, in esso tutto è vero ».

Quattordicesimo. Mentre durante la notte stavo in preghiera, Cristo mi si mostrò sulla croce, piú luminoso del solito, cioè mi comunicò una piú chiara conoscenza di sé. Mi chiamò vicino a sé e mi invitò a porre le labbra sulla piaga del suo costato. Mi pareva di vedere e bere il suo sangue che sgorgava vivo dalla ferita, e in quell’attimo egli mi fece capire che così mi faceva pura. Allora cominciai a provare una grande gioia, quantunque fossi triste per la considerazione della sua passione, e lo scongiurai che mi facesse versare tutto il mio sangue per amor suo, come lui aveva fatto per me. Così mi offersi tutta al suo amore. Volevo che tutte le mie membra patissero la morte, una morte diversa dalla sua, ancora piú umiliante. E imploravo e scongiuravo che, se avessi potuto trovare chi mi uccidesse purché mi venisse concesso di morire per la sua fede o il suo amore mi venisse concessa la grazia che, diversamente da Cristo che era stato crocifisso sul legno, io lo fossi su una roccia o in un luogo piú misero e sordido. Non mi sentivo degna di morire della stessa morte dei santi, per questo gli chiedevo che mi facesse morire in maniera piú infame e con una morte piú lunga; ma non riuscivo ad immaginare una morte abietta come quella che desideravo e soffrivo di non riuscire a trovare una morte tanto vile, che in nulla assomigliasse a quella dei santi, di cui mi sentivo del tutto indegna.

Quindicesimo passo. Penetravo nell’anima di san Giovanni e della Madre di Dio, meditando il loro dolore, e chiedevo senza posa che mi ottenessero la grazia di poter provare sempre il dolore della passione di Cristo o almeno il loro stesso dolore. Ed essi me l’ottennero allora e me l’ottengono ancora. San Giovanni, questo successe una volta sola, mi fece avere un dolore tale, che è tra i massimi che io abbia mai provato: compresi che egli, per la passione e la morte di Cristo e per il dolore della Madre di Cristo, deve aver sofferto un dolore così grande, da superare il martirio stesso. Da allora mi fu dato un tale desiderio di spogliarmi di ogni avere con tale volontà che, quantunque venissi avversata e tentata dal demonio a non farlo, e quantunque mi fosse proibito dai frati e da te stesso e da tutti quelli cui chiedevo consiglio, non avrei potuto non farlo per qualunque bene o male avessi potuto riceverne. E se non avessi donato tutto ai poveri, in quel momento avrei dato via ogni mio avere, poiché mi pareva impossibile ch’io potessi trattenere qualcosa per me senza commettere una grave colpa. Tuttavia la mia anima viveva nell’amarezza per i peccati, e non sapevo ancora se quel che facevo fosse accetto a Dio, ma gridavo piangendo amaramente:

« Signore, anche se sono dannata, continuerò almeno a fare penitenza. Mi priverò di tutto e ti servirò », poiché in quel tempo vivevo ancora nell’amarezza per i peccati, e non provavo la dolcezza divina.

Sedicesimo passo. In tal modo fui liberata da questo mio stato. Una volta mi recai in chiesa e pregai Dio che mi facesse qualche grazia; mentre pregavo egli pose nel mio cuore il Pater noster con tanta chiara comprensione della bontà sua e della mia indegnità che ogni singola parola era illustrata nel mio cuore; recitavo quel Pater noster lentamente e con piena cognizione di me. Pur piangendo per la mia indegnità e per i miei peccati, che in quella preghiera mi si rivelavano, provavo un’indicibile consolazione. Cominciavo a gustare qualcosa delle gioie celesti, poiché in quella preghiera, piú che in alcun’altra, mi si rivelava con grande chiarezza tutta la bontà divina, e ancor oggi ciò mi succede. Ma poiché mi furono mostrati in quel Pater noster i miei peccati e la mia indegnità, fui presa da vergogna, e non osavo nemmeno alzare gli occhi. Allora chiesi alla Vergine che mi ottenesse lei il perdono dei miei peccati. Tuttavia, continuavo a rimanere nell’amarezza, a causa dei miei peccati. In ogni passo mi soffermavo lungo tempo, prima di passare al successivo; piú in alcuni, in altri meno. Questa fedele perciò in tutto il suo stupore esclamava: «Oh, attraverso quali stenti l’anima progredisce! Nulla è scritto qui, tanto forti sono le pastoie che ha ai piedi e tanto perverso è l’aiuto che riceve dal mondo e dal demonio! ».

Diciassettesimo. Dopo il passo precedente ebbi la dimostrazione che la Vergine mi aveva ottenuto la grazia: mi fu data infatti una fede mai prima posseduta. Al paragone la fede avuta finora mi pareva una cosa morta e le mie lagrime passate quasi frutto di violenza. Da questo momento soffersi davvero la realtà della passione di Cristo e il dolore della Madre di Cristo: allora, qualunque cosa facessi, per quanto grande, mi pareva poca cosa, e anelavo a una piú grande penitenza. Mi seppellii così nella passione di Cristo e mi fu data la speranza che in essa avrei trovato la mia libertà. Incominciai a provare consolazione durante il sonno: mi venivano meravigliosi sogni e grande consolazione me ne giungeva. E cominciai a sentire una costante dolcezza nell’intimo dell’anima al pensiero di Dio, nella veglia e nel sonno. Ma poiché non possedevo ancora la certezza, alla consolazione si mescolava l’amarezza e volevo ricevere altri doni da Dio.

Dei molti sogni e visioni me ne riferì una dicendomi: Una volta, mentre me ne stavo chiusa in un carcere in cui mi ero segregata per rendere piú dura la mia Quaresima, mentre ero assorta in amorosa meditazione su una parola del Vangelo, parola di grandissima pietà e di grandissimo amore, avevo con me il messale. Bruciavo dalla sete di poter vedere almeno quella parola scritta, però mi trattenevo e dominavo per timore di superbia, poiché mi ero imposta di non aprire quel libro con le mie mani, dato che eccessiva era la mia sete e il mio desiderio. Fui vinta allora da una specie di sonno e mi assopii in quel desiderio: e subito fui rapita in una visione, e ascoltai una voce che mi diceva che l’intelligenza dell’epistola era cosa sì sublime che se uno la comprendesse, dimenticherebbe ogni cosa terrena. Chi mi conduceva mi disse: « Vuoi fare esperienza di quanto ti dico? ». Io dissi di si, e poiché ero assetata dal desiderio di fare quell’esperienza, egli mi condusse subito a farla. Cominciavo a penetrare con tale gioia i beni divini che subito dimenticai ogni cosa terrena. Poi colui che mi guidava aggiunse che l’intelligenza del Vangelo era cosa talmente piú alta che se uno lo comprendesse, non solo si dimenticherebbe di ogni cosa terrena, ma anche totalmente di se stesso. E ancora una volta mi fece da guida e mi condusse a farne esperienza: subito cominciai a penetrare con tale gioia i beni divini che fui dimentica non solo di ogni cosa terrena, ma arrivai a dimenticarmi completamente di me. Provavo una tale ebbrezza divina che chiesi a colui che mi guidava di non farmi più uscire da quello stato. Mi rispose che ciò che chiedevo non poteva ancora essere concesso; e subito mi fece rientrare in me e apersi gli occhi. Provavo un’incontenibile felicità di quelle cose che avevo visto, ma soffrivo molto per averle perdute e ancora oggi, il solo ricordo è fonte di gran diletto. Da quel giorno rimasero stabilmente in me tanta certezza e tanta luce e amore per Dio, che andavo ripetendo, perfettamente convinta, che nulla si predica del diletto di Dio: quanti ne predicano non possono di esso predicare, e non comprendono le cose di cui predicano. Questo mi disse colui che mi era stato di guida nella visione.

Il sentimento di Dio 

Diciottesimo. Dopo di ciò ebbi il sentimento di Dio: provavo tale dolcezza nella preghiera da dimenticarmi di prendere cibo; avrei voluto non dover piú mangiare per poter rimanere sempre assorta nell’orazione. Si insinuava qui una sorta di tentazione che mi spingeva a non mangiare o a mangiare pochissimo; ma riconobbi che si trattava di un inganno. Era così grande il fuoco dell’amore di Dio che mi stava nel cuore, che non mi stancavo di stare in ginocchio e sopportavo ogni altro tipo di mortificazione. In seguito pervenni a un fuoco tanto piú ardente che, solo a udir parlare di Dio, gridavo. E se uno mi avesse minacciato con una scure, pronto ad uccidermi, non mi sarei potuta sottrarre. Questo mi accadde la prima volta quando vendetti il mio cascinale, era la piú bella proprietà che avevo per distribuirne il ricavato ai poveri. Prima di allora mi facevo beffe di Pietruccio, ma dopo questo fatto non mi fu piú possibile farlo. Anzi, quando certe persone cominciarono a dire in giro che ero certamente un’indemoniata, per il fatto che non riuscivo a trattenermi da quegli urli, ne provavo grande vergogna e ammettevo che dovevo essere senza dubbio malata e indemoniata; e non potevo soddisfare quanti sparlavano di me. Se mi capitava di posare gli occhi su qualche quadro raffigurante la passione di Cristo, non riuscivo a sostenerne la vista; mi assaliva allora una febbre improvvisa e cadevo malata. Per questo la mia compagna mi nascondeva tali pitture sulla passione e faceva di tutto perché non le vedessi.

Diciannovesimo. Dopo l’illuminazione e il conforto ch’io provai recitando il Pater noster, ebbi la mia prima grande esperienza della dolcezza di Dio. Tutto avvenne così. Dapprima mi venne come un’ispirazione, e fui subito attratta a considerare la felicità che si prova contemplando l’umanità e la divinità di Cristo: sperimentai una tale consolazione che per quasi tutto quel giorno rimasi in piedi nella cella dove mi ero segregata volontariamente a pregare, tutta sola e raccolta, e il mio cuore era in quel gaudio. Poi venni meno e persi la parola. La compagna allora accorse e pensava ch’io stessi morendo; ma la sua presenza m’infastidiva, poiché mi turbava in quel momento di estrema consolazione.

Una volta, prima che ella avesse portato a termine la distribuzione di tutti i suoi beni ai poveri (le era rimasto ormai ben poco da dare), di sera mentre stava pregando si rammaricava di non sentire Dio e lo invocava e lo chiamava lamentandosi con queste parole: « Signore, quanto io faccio non è che per trovarti. Ti troverò quando tutto sarà compiuto? ». E altre cose diceva in quella preghiera. A un dato momento le fu chiesto: « Che vuoi? ». E lei: « Non voglio oro, né argento, e se mi donassi il mondo intero, non vorrei che Te ». Egli così rispose: « Affrettati, perché subito, quando avrai compiuto ogni cosa, tutta la Trinità verrà in te ». Molte altre cose egli allora mi promise, e mi trasse fuori da ogni tribolazione, e mi rimandò con l’anima colma di ogni dolcezza. Da quel momento cominciai ad aspettare che si adempisse quanto mi aveva detto. Riferii tutto alla mia compagna che era assai perplessa per le cose straordinarie che mi erano state dette e per tutte quelle promesse. Ma Dio mi aveva rimandata con l’anima colma di divina dolcezza. Si noti come Dio compì le promesse lette, prima che Angela avesse finito di portare a termine i suoi voti.

Ventesimo. Dopo questi fatti mi recai nella chiesa di S. Francesco ad Assisi, e in quest’occasione, lungo il cammino, fu adempiuta la promessa. Non ricordo se avessi già terminato di distribuire ogni mio avere; certamente non avevo ancora finito di dar tutto ai poveri anche se certamente mancava ormai poco.

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Esperienze mistiche

I 7 passi supplementari (dal 1291 al 1296)

Il primo passo supplementare (o ventunesimo) è contraddistinto dall’approfondimento dell’esperienza di Assisi.

Il successivo è costellato di locuzioni divine e indicazioni profetiche sul cammino che le resta da compiere (siamo nel 1292).

L’ulteriore passo è una lunga considerazione sui figli legittimi di Dio, secondo la parabola degli invitati alle nozze (Mt 22,1-14). Il quarto passo supplementare, o ventiquattresimo si contraddistingue per visioni celesti e tentazioni di tenebra, ma anche di stupore per la presenza di Dio nel mondo, di cui esso è pieno.

Il passo successivo è segnato dalla visione della Passione di Cristo di cui lei è divenuta com-paziente. Il seguito del suo itinerario mistico è contraddistinto da tormenti terribili, patiti nel corpo e nello spirito, con vessazioni diaboliche.

Nel passo settimo supplementare (o ventisettesimo) vede Dio nella tenebra (Tutte le parole e le realtà finora scritte intendo che sono niente al confronto dell’Ogni bene, che vedo in questa tenebra tanto grande). Angela è giunta all’unione trasformante.

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IL VIAGGIO AD ASSISI

Erano trascorsi sei anni da quando si era convertita da una vita, a dir poco, vanitosa e mondana, a quella, che ora viveva, di penitenza e volontaria povertà.

In questo tempo aveva camminato senza sosta nella via della perfezione da quando era iniziata la sua vita nuova. Pietra su pietra, passo dopo passo (ne aveva contati già diciotto), si era avventurata in un cammino all’inizio inceppato e penoso, ma poi sempre più spedito, con momenti di smantellamento e di ricostruzione, di morte e di vita, ma ricco anche di straordinari interventi divini.

Qualche giorno prima della solennità del Santo di Assisi (4 ottobre 1291), si mette in viaggio di buon mattino accompagnata da un gruppetto di persone pie, da lei scelte, tra le quali la sua fedele compagna Masazuola e un uomo di Foligno, da lei convertito ad una vita di penitenza e di povertà.

Angela si reca ad Assisi con uno scopo ben preciso; vuole pregare san Francesco perché interceda per lei presso Dio per ottenere “di poter sentire Cristo, di poter osservare perfettamente la regola francescana, recentemente promessa, e di saper vivere e morire da povera” (Edizione Critica del LIBER, III, 17-21).

La strada tra Foligno e Assisi, passando per Spello è di soli 17 km e neppure faticosa, ma quel giorno appare interminabile, perché la pellegrina si attarda a conversare con qualcosa di invisibile che puntigliosamente le impedisce di avanzare. I suoi compagni faticano ad aspettarla soffrendo per la sua spossatezza.

Dopo qualche ora di cammino incontrano una chiesetta dedicata alla SS. Trinità, che si eleva su un piccolo poggio situato alla confluenza delle strade per Perugia e per Assisi. E’ questo il luogo scelto da Dio per realizzare la promessa fatta ad Angela qualche giorno prima.

Subito una voce dolce come una brezza, ma forte e chiara come il rumore di un torrente, le scende nel cuore: “Ti sei rivolta al mio servo Francesco, ma io non ho voluto mandarti altro nunzio.

Io sono lo Spirito Santo, che venni in te per concederti consolazione quale mai hai provata.

E verrò con te, stando in te, fino alla chiesa di S. Francesco, perché nessuno lo sappia. Voglio venire parlando con te lungo questa via, né cesserò mai di parlarti, e tu non potrai fare altro, perché io ti ho rapita. Non mi allontanerò da te finché non sarai entrata per la seconda volta nella chiesa di S. Francesco. Solo allora ti lascerò, ma giammai in avvenire mi allontanerò da te, se mi ami” (III, 35-42).

E’ la prima volta che Angela ascolta la voce del Dio invisibile in modo così chiaro, perciò si sente immediatamente catturata dalle invisibili trame dell’amore di Dio.
E un nuovo Cantico dei Cantici fiorisce tra i vigneti e i campi dell’Umbria, ancora profumata dalla presenza spirituale di Francesco: “Figlia a me cara, figlia mia, gioia mia, tempio mio; figlia mia, amore mio, amami perché sei molto amata da me, più di quanto tu mi ami. Figlia e sposa mia dolce. Ti amo più di ogni altra creatura che sia nella valle spoletina. E poiché io ho trovato dimora e rifugio in te, tu ora vieni a dimorare in me e riposa in me” (III, 43-47).

Benché tutta pervasa di ebbrezza divina, l’anima di Angela è attraversata dal dubbio e dal sospetto che lo spirito del male sia venuto a tentarla e osa gridare: “Se tu fossi lo Spirito Santo, non mi diresti queste parole, ché non è giusto; sono infatti una creatura debole e potrei averne vanagloria” (III, 52-54).

La risposta non si fa attendere: “Prova a pensare se di queste cose tu puoi mai trarne vanagloria con cui tu possa insuperbirti e uscire fuori da queste parole, se puoi” (III, 57). Angela accetta la sfida e comincia a pensare le cose più strane ed anche peccaminose per sottrarsi alle strette dell’invisibile, ma sono tutti i suoi peccati che le si presentano; cerca di distrarsi guardando i vigneti e le altre cose, per sfuggire a quelle parole, ma dovunque guardi, la voce le ripete: “Questa è creatura mia”.

Il dialogo mistico così si annoda e si snoda con lotte apparenti e cedimenti all’amore; sembrano le stesse espressioni che si ripetono, ma la felicità che suscitano è sempre nuova. “Io sono colui che è stato crocifisso per te, colui che ha avuto fame e sete per te; sono io che ho sparso il mio sangue per te, tanto ti ho amata” (III, 65-67). “Io sono lo Spirito Santo”: “E’ tutta la SS. Trinità che parla con Angela, che gioca con la sua creatura in un gioco stupendo d’amore. Dio prima rapisce l’anima e poi gioca con essa. Il gioco, si sa, è bello quando i due giocatori sono dello stesso valore o quasi. Siccome però la distanza tra Dio e l’anima è infinita, il primo ‘impegno’ di Dio è nell’elevare l’anima alla sua altezza, quasi deificandola; ma anche questo ‘lavoro’ di Dio fa parte del gioco. Ma è proprio vero che una creatura possa pretendere di parlare a tu per tu con l’Onnipotente? Angela non riesce a crederlo e, piena di dubbi, esclama: “Se tu fossi lo Spirito Santo e fossi tu a dire tali cose, l’anima mia dovrebbe provarne una tale letizia da esserne incapace a sostenerla” (III, 71-73).

La voce, dopo averle ricordato che per molto meno qualcun altro (leggi san Paolo) era caduto a terra, non vedendo e non udendo più, le dichiara espressamente: “Non lo faccio per i tuoi meriti”. Se fossi venuta con persone diverse da queste, non ti avrei fatto tali cose” (III, 81-82). Infatti i suoi compagni, pur cominciando ad accorgersi di qualcosa di strano nel comportamento di Angela, re-stano discretamente da parte e non la importunano con domande oziose quando lei rallenta il passo. Per la dolcezza che prova, “vorrebbe che quella strada non finisse per tutto il tempo del mondo” (III, 84). Lo Spirito Santo, cioè l’Amore del Padre e del Figlio, invade tutte le potenze dell’anima di Angela e fa strada con lei (“voglio venir parlando con te lungo questa via”) e non la lascia un istante fino alla chiesa di S. Francesco in Assisi.

’Così ti terrò stretta…’

Dopo aver fatto visita alla tomba di Francesco ed aver spiritualmente colloquiato con lui, Angela con i suoi compagni sale le scale che la portano alla basilica superiore.

E’ uno spettacolo unico al mondo: non si sa se ammirare di più la snella architettura fatta di fasci di leggerissime colonne che dal pavimento si innalzano per metri e metri fino a riunirsi insieme nelle volte azzurre, come il cielo di notte, o gli stupendi affreschi di Giotto che si snodano senza interruzione lungo le pareti della chiesa per raccontare a tutti la mirabile vita di Francesco d’Assisi.

Il colloquio con l’Eterno qui diventa più facile, sembra naturale. Angela, incantata dall’armonia del luogo, alza lo sguardo verso l’alto e, fissando la prima vetrata a sinistra dell’ingresso, viene colpita dalla visione del Cristo che stringe al petto Francesco, presentato come una fedele immagine di Cristo (“Alter Christus”).

In un attimo la sua anima è rapita e, nell’estasi, lei ascolta una voce ormai familiare: “Così ti terrò stretta e molto più che tu possa vedere con gli occhi del corpo, figlia mia cara, mio tempio, mia diletta” (III, 97-98). E vede venire verso di sé una “Cosa” piena, una maestà immensa della quale non si può dire altro che era il sommo bene, il sommo amore, che la ricolma di ineffabile felicità. Subito però la voce riprende a parlare: “Figlia mia cara, mio tempio, mia delizia, ora è venuto il momento che io ti lasci, ma non ti abbandonerò mai, se tu mi amerai”. E mentre la divina presenza si allontana lentamente, con indicibile soavità, a poco a poco, Angela scoppia in alte grida e senza ritegno urla: “Amore non conosciuto, perché mi abbandoni? Amore non conosciuto, perché, per-ché, perché?” (III, 110-113).

La folla presente ed alcuni frati, già insospettiti dai movimenti strani di prima, le si fanno più da vicino e cercano di calmarla, ma dalla sua bocca non escono che urla e grida scomposte. Angela arrossisce di vergogna, ma non si sa contenere e con tutto il fiato che ha in gola, rivolta verso l’alto, grida ancora una volta: “Amore, amore, amore, perché?”, e si abbatte a terra esausta co¬me investita da una folgore.

Le persone che hanno assistito alla scena vengono prese da un misto di pietà e di sacro terrore e, senza rendersene conto pienamente, intuiscono che qualcosa di soprannaturale sta acca¬dendo sotto i loro occhi. Solo un frate si tiene in disparte durante questa scena, visibilmente sdegnato per l’accaduto e soprattutto per la vergogna che prova per Angela, sua parente.

E’ frate Arnaldo, trasferito da qualche tempo nel convento di Assisi da quello di Foligno, ove aveva ascoltato la prima, vera confessione di Angela. Si chiede cosa sia successo durante la sua assenza, perché la scena alla quale ha assistito è chiaro sintomo di isterismo femminile e pazzia! Si fa coraggio e avvicinandosi ad Angela l’apostrofa malamente e ordina ai suoi accompagnatori di riportarsela via e di non accompagnarla mai più in Assisi.

Angela torna a casa per la stessa strada, ma con una nostalgia del Dio Uno e Trino che non l’abbandonerà per tutta la vita. La sua esistenza ormai sarà una ricerca continua di quella realtà che per un attimo l’aveva riempita, ma che poi era sgusciata via lasciandole un vuoto che nessuna creatura e nessuna felicità umana avrebbero mai potuto colmare.

 

La preghiera

Non conosciamo quale posto abbia avuto la preghiera nei primi trentasette anni di vita di Angela. Più verosimilmente, non si può escludere qualche invocazione o espressione devozionale nei momenti del bisogno e di paura, ininfluente tuttavia per stabilire una autentica relazione con Dio. All’inizio della sua conversione, non osando rivolgersi direttamente a Dio, prega il santo di Assisi perché le sembra più ’familiare’. E Francesco risponde alle sue invocazioni e le trasmette la grazia di una vera e completa confessione. Subito dopo spinta dalla grazia che le fa conoscere più a fondo i suoi peccati, ma anche la misericordia di Dio, prega ’con un grande fuoco d’amore tutte le creature la Vergine e i santi’. Soltanto nel sedicesimo passo si parla di una preghiera specifica recitata da Angela, il Pater noster: ’Mentre pregavo egli pose nel mio cuore il ‘Pater noster’ con tanta chiara comprensione della bontà sua e della mia indegnità che ogni singola parola era illustrata nel mio cuore … Cominciavo a gustare qualcosa delle cose celesti, poiché in quella preghiera, più che in alcun’altra, mi si rivelava con grande chiarezza tutta la bontà divina, e ancor oggi mi succede’. In seguito parlando della stessa preghiera ai suoi discepoli, dirà non senza una punta di ironia: ’Quando preghi ‘Padre Nostro’, devi pensare a quello che dici; non devi correre, preoccupato di ripetere tante preghiere, come fanno certe donne che pare lavorino a cottimo’. Tante altre cose Angela insegnerà ai suoi figli spirituali sulla preghiera sostenendo con forza la sua necessità universale: ’Senza la luce di Dio nessun uomo si salva. Essa fa muovere all’uomo i primi passi; essa lo conduce al vertice della perfezione. Perciò, se vuoi cominciare a possedere questa luce di Dio, prega; se sei già impegnato nella salita della perfezione e vuoi che questa luce in te aumenti, prega; se sei giunto al vertice della perfezione e vuoi ancora luce per poterti in essa mantenere, prega; se vuoi la fede, prega; se vuoi l’obbedienza, la castità, l’umiltà, la mansuetudine, la fortezza, prega. Qualunque virtù tu desideri, prega. E prega leggendo nel libro della vita, cioè nella vita del Dio-Uomo Gesù, che fu tutto povertà, dolore, disprezzo e perfetta obbedienza’. 

L’EUCARISTIA

l’incontro di Angela con Gesù eucaristia era cominciato male: si era accostata molte volte alla comunione – riferisce Arnaldo avendo dei peccati nell’anima, poiché la vergogna le impediva di fare una completa confessione’. Soltanto con l’intervento di san Francesco, da lei pregato, riesce a fare una vera confessione e ad accostarsi degnamente al banchetto eucaristico. dopo tanti anni di lontananza da Dio e dalla comunione. Questo dramma iniziale resterà nella coscienza di Angela come un monito per la sua vita e come insegnamento ai suoi discepoli: ’Ogni uomo deve avvicinarsi a un tale e così grande bene, a una simile mensa con grande rispetto, con ogni purezza, con grande timore e con grande amore’. Alla fine del primo passo supplementare, Arnaldo ricorda le prime esperienze e visioni eucaristiche di Angela, dalle quali appare ormai chiaro come l’eucaristia sia il punto sicuro di riferimento di tutto il suo cammino spirituale. In seguito sperimenterà la presenza di Cristo eucaristico non in una visione, ma in un sentimento profondo, inequivocabile. In una messa celebrata dallo stesso frate Arnaldo le viene detto durante l’elevazione: ’Qui è tutta la gioia degli angeli, qui è la letizia dei santi, qui è tutta la tua felicità. In questo momento il Figlio di Dio, nella sua umanità e divinità, si trova sull’altare ed è in compagnia di una immensa moltitudine di angeli’. Davanti a questo sacramento nel quale cielo e terra si rispondono, e ogni labbro si apre alla stessa adorazione, anche a noi sembra di udire la voce ascoltata da Angela: ’Qui è la tua felicità!’.

La Madonna

Tutte le fasi del cammino spirituale di Angela portano l’impronta di Maria. Troviamo Maria già all’inizio dell’itinerario spirituale di Angela; alla beata Vergine lei ricorre perché le ottenga il perdono dei suoi peccati: sarà ancora lei, la Vergine Maria ad ottenere la grazia di poter passare da una vita di dolore, di rimorsi e di disperazione, alle prime consolazioni divine, preludio della vita mistica e alla profonda conoscenza della passione di Cristo. Spesso Angela vede la Vergine che le appare e la consola: L’anima fu innalzata e vide la Madonna che in quei momento entrava nel Tempio, e le andò incontro con grande riverenza ed affetto. La Madonna mi porse suo figlio e disse: ‘Prendi o innamorata del Figlio mio’. Cosi dicendo depose tra le mia braccia il Figlio suo che sembrava avere gli occhi chiusi, quasi dormisse . . . Avvolto nei panni e stretto nelle fasce rimase tra le mie braccia quasi nudo, apri i suoi occhi, li alzo verso di me e mi guardo. Nel guardare quegli occhi provai tanto amore che fui completamente vinta . . . Avvicinai il mio viso al suo fino ad accostare la mia guancia alla sua. Fui penetrata allora come da un fuoco vedendo i suoi occhi che si aprivano e si rivolgevano verso di me … Un bene, una felicità indescrivibile promanava dai suoi occhi, tanto che non sono capace di descrivere quello che in quel momento provai. Allora all’improvviso mi si rivelò un’immensa Maestà che disse: ‘Chi non mi avrà visto piccolo, non mi vedrà grande’’. L’aspetto predominante della devozione mariana di Angela è la maternità spirituale di Maria, madre di tutti gli uomini; per loro intercede, per loro prega; è lei la madre della grazia. senza la quale non si può camminare verso il cielo. A lei Angela si affida pienamente nel suo cammino personale di perfezione ed anche come a modello a cui conformarsi nel compito affidatole da Dio stesso di diventare madre spirituale di una moltitudine di figli sparsi al di qua e al di là del mare. Angela imparerà da Maria a staccarsi dalle cose, ma soprattutto dagli affetti, pur sacrosanti verso i figli del suo grembo, per un amore più grande,per una maternità liberata dai naturali legami del sangue.

Conpassione di Maria con Gesù

“Fu anche nel Cristo il dolore di compassione per la sua dolcissima Madre. Infatti, poiché Cristo amava sopra ogni altra creatura sua Madre, dalla quale sola aveva preso la sua carne, e poiché ella singolarmente, più di qualsiasi creatura, partecipava al dolore del suo vero Figlio per la capacità altissima e profondissima che aveva e più eccellente di quella che aveva qualsiasi altra creatura, per questo Cristo aveva compassione di lei con sommo dolore, poiché vedeva che lei provava sommo dolore. La Madre, infatti, provava sommo dolore e il Cristo portava in sé tale dolore”

 

La terza trasformazione. 

La terza trasformazione comprende gli ultimi due passi supplementari, il sesto e il settimo (1294-1296). Attraverso una radicale purificazione, Angela accede nel ’seno stesso della Trinità. Quando l’anima, con un’unione perfettissima, si trasforma in Dio e Dio si trasforma in essa, allora sente e sperimenta cose altissime che appartengono a Dio e sono tali da non poter essere espresse con parole o pensate’. In questa terza trasformazione viene infusa nell’anima dalla grazia una particolare sapienza per mezzo della quale l’anima sa governare l’amore di Dio e del prossimo, perché quanto più è unita a Dio, tanto meno è soggetta a mutamenti. Ma prima di arrivare a questi vertici di vita mistica, l’anima di Angela deve passare per un ‘autentica fornace di fuoco e subire una serie di purificazioni radicali e terribili, che i teologi e i mistici definiscono: ’notti oscure del senso’ e ’notti oscure dell’anima’ e che Angela chiama: ’tenebre’ e ’tenebra’; e comportano effetti devastanti sul corpo e sull’anima.

’La notte oscura’

Angela è incamminata ormal verso le più alte vette della vita spirituale e Dio la sta elevando a partecipare alla sua stessa vita ma, per arrivare a ciò, deve passare attraverso purificazioni fisiche e spirituali. Per due anni, in continuazione, passa dal cielo all’inferno, sentendosi scelta e dannata, figlia carissima di Dio e spaventevole trastullo dei demoni. ’Per quanto riguarda le sue sofferenze fisiche – così inizia Arnaldo – la sentii dire che non le era rimasta una parte del corpo che non soffrisse orribilmente… e quelle dell’anima erano incomparabilmente maggiori’. Con una immagine plastica e raccapricciante Angela descrive le torture che i demoni fanno subire alla sua anima: ’Vedo i demoni che impiccano l’anima mia in modo che, come all’impiccato non rimane alcun sostegno, così nessun appoggio sembra restare ad essa, e tutte le virtù dell’anima vengono sovvertite sotto gli occhi stessi dell’anima che vede, constata e rimane attonita’. Dio concede ad Angela di capire fino in fondo il valore redentivo e purificativo della sofferenza e dell’umiltà. ’Ma ora riconosco che dalla lotta tra l’umiltà e la superbia deriva una totale purificazione dell’anima. non ci si può salvare senza umiltà, e quanto è maggiore l’umiltà, maggiore è la perfezione a cui l’anima perviene. Per questo, quanto più l’anima è prostrata, svilita ed umiliata, tanto essa è purgata e purificata e pronta ad essere maggiormente innalzata ’.

 

 


Il tuffo nell’Assoluto

L’altissima esperienza di Dio, narrata da frate Arnaldo nel settimo ed ultimo passo supplementare procede in un primo momento insieme con le terribili purificazioni del sesto e poi resta sovrana ed incontrastata. (cf. II, 77-79). La Trinità sarà il punto centrale di questo nuovo ciclo di visioni che comprendono due periodi di circa dodici mesi ciascuno. Visioni nelle tenebre e con le tenebre nel primo, visioni sopra le tenebre nel secondo. Angela parla di tali visioni dopo averle sperimentate migliaia di volte; e parla soprattutto degli effetti che producono sull’anima e sul corpo con un’abbondanza di dettagli e chiarezza difficilmente rintracciabili altrove. ’Fui tolta e separata da tutte le cose che prima avevo e nelle quali era tutta la mia gioia, come la vita e l’umanità di Cristo, i suoi dolori, la povertà e la croce che era diventata il mio unico riposo e il mio letto .. Dio dapprima si rivela all ‘anima in quelle dolcissime operazioni che si compiono nell ‘anima – è Lui che le compie – poi si comunica all’anima manifestandosi a lei e donandole doni ancora più grandi attraverso una certezza sempre maggiore e una chiarezza che non può essere descritta agli altri’. La possibilità della descrizione, a queslo punto, si trova davanti a difficoltà insormontabili: la parola viene meno ed Angela, quasi scoraggiata da questo immane compito di esprimere l’inesprimibile, è costretta a confessare ’Il mio dire è un devastare e un bestemmiare’ e, alla fine, non potrà che dire ’Il mio segreto a me’ e tacerà per sempre; ma prima, per nostra grande fortuna, cercherà con ogni mezzo ed in ogni modo di ’balbettare’ tutto quello che potrà, per dare anche a noi la possibilità di guardare, non da troppo lontano, gli insondabili splendori di Dio.

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S. Francesco, apparendo il 2 agosto, giorno del Perdono, così la saluta: ’La Pace dell’Altissimo sia con te. La benedizione eterna, abbondante e completa, che ebbi dall’Eterno Dio, scenda sopra il capo di questi figli, tuoi e miei.     Dì loro che mi aiutino, seguendo la via del Cristo e facendola conoscere agli altri, con le parole e con l’esempio. E non temano, io sono con essi e l’Eterno Dio è il loro aiuto’. (Istr. IV. 196-208)

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“Chiesi a Dio che cosa potessi fare per piacergli, ed egli molte volte, mentre dormivo o mentre vegliavo, per bontà sua, mi apparve crocifisso sulla croce, e m’invitò a scrutare nelle sue piaghe aperte e, con mirabile modo, mi mostrò come aveva sofferto tutta la sua passione per me. E, dopo avermi enumerato ad una ad una le sofferenze durate, mi disse: “Che puoi dunque fare tu per ricompensarmi? “. Mi apparve molte volte anche mentre ero desta con un aspetto più sereno e placato di quando lo vedevo nel sonno, sebbene avesse sempre sul viso la sua pena e il suo dolore e, mostrandomi la fronte rigata di sangue ed i sopraccigli aspreggiati sotto la corona di spine e la barba strappata e scomposta, ed enumerandomi le battiture delle quali, ad una ad una ritrovava le sanguinose lividure sul suo puro corpo, mi disse: “Tutte queste sofferenze le ho patite per te”.
Allora mi tornarono alla memoria i miei peccati e capii che con essi avevo di nuovo riaperto le piaghe di Gesù Cristo; per ripararvi non mi rimaneva che il mio dolore grande quanto tutta me” (decimo passo).

IL TRANSITO

Sofferenze di ogni genere hanno accompagnato tutta la vita di Angela. Verso la fine del Memoriale frate Arnaldo annota: ’Fu sempre assai malata, e riusciva amangiare assai poco, tutavia era ben florida e colorita, benché le membra del suo corpo e gli arti fossero tumefatti e pieni di dolori. Con molta sofferenza riuscicva a muoversi e a camminare o anche a sedere, ma tutti questi dolori e infermità del corpo li considerò sempre pochissimo’. Alla fine di settembre Angela è costretta a mettersi a letto, amorevolmente vegliata ed assistita dai suoi numerosi figli spirituali di Foligno e da quelli venuti anche di lontano. Fa perciò chiamare il frate scrittore, che aveva preso il posto di frate Arnaldo, e ’lo costringe, poiché egli si mostra quasi riluttante, a scrivere la sua ultima lettera’

Dall’ultima lettera

Il mio Dio si è fatto carne per farmi Dio ’. ’Mio Dio, fammi degna d i conoscere l’altissimo mistero che proviene dall’infuocato e ineffabile tuo amore e dall’amore delle tre Persone della Trinità. L’Incarnazione compie in noi due cose: la prima è che ci riempie d’amore; la seconda che ci rende certi della nostra salvezza. O carità che nessuno può comprendere! O amore al di sopra del quale non c’è amore maggiore: il mio Dio si è fatto carne per farmi Dio!

p. Domenico Alfonsi

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PREGHIERA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II 
DAVANTI ALLA TOMBA DELLA BEATA ANGELA DA FOLIGNO

Foligno – Domenica, 20 giugno 1993

 

Beata Angela da Foligno!  

Grandi meraviglie ha compiuto in te il Signore.

Noi oggi, con animo grato, contempliamo e adoriamo
l’arcano mistero della divina misericordia,
che ti ha guidata sulla via della Croce
fino alle vette dell’eroismo e della santità.  

Illuminata dalla predicazione della Parola,
purificata dal Sacramento della Penitenza,
tu sei diventata fulgido esempio di virtù evangeliche,
maestra sapiente di discernimento cristiano,
guida sicura nel cammino della perfezione.  

Hai conosciuto la tristezza del peccato,
hai sperimentato la “perfetta letizia” del perdono di Dio.

A te Cristo si è rivolto con i dolci titoli
di “figlia della pace” e di “figlia della divina sapienza”.  

Beata Angela! confidando nella tua intercessione,
invochiamo il tuo aiuto,
perché sincera e perseverante
sia la conversione di chi, sulle tue orme,
abbandona il peccato e si apre alla grazia divina.  

Sostieni quanti intendono seguirti
sulla strada della fedeltà a Cristo crocifisso
nelle famiglie e nelle Comunità religiose
di questa Città e dell’intera Regione.  

Fa’ che i giovani ti sentano vicina,
guidali alla scoperta della loro vocazione,
perché la loro vita si apra alla gioia e all’amore.  

Sostieni quanti, stanchi e sfiduciati,
camminano con fatica fra dolori fisici e spirituali.

Sii luminoso modello di femminilità evangelica
per ogni donna: per le vergini e le spose,
per le madri e le vedove.

La luce di Cristo, che rifulse
nella tua difficile esistenza,
brilli anche sul loro cammino quotidiano.  

Implora, infine, la pace per noi tutti
e per il mondo intero.

Ottieni per la Chiesa,
impegnata nella nuova evangelizzazione,
il dono di numerosi apostoli,
di sante vocazioni sacerdotali e religiose.  

Per la Comunità diocesana di Foligno
implora la grazia di un’indomita fede,
di una fattiva speranza e di un’ardente carità,
perché, seguendo le indicazioni del recente Sinodo,
avanzi spedita sulla strada della santità,
annunciando e testimoniando senza sosta
la perenne novità del Vangelo.  

Beata Angela, prega per noi!

 

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Udienza generale di Papa Benedetto XVI, 13 ottobre 2010

Beata Angela da Foligno

Cari fratelli e sorelle,

oggi vorrei parlarvi della beata Angela da Foligno, una grande mistica medioevale vissuta nel XIII secolo. Di solito, si è affascinati dai vertici dell’esperienza di unione con Dio che ella ha raggiunto, ma si considerano forse troppo poco i primi passi, la sua conversione, e il lungo cammino che l’ha condotta dal punto di partenza, il “grande timore dell’inferno”, fino al traguardo, l’unione totale con la Trinità. La prima parte della vita di Angela non è certo quella di una fervente discepola del Signore. Nata intorno al 1248 in una famiglia benestante, rimase orfana di padre e fu educata dalla madre in modo piuttosto superficiale. Venne introdotta ben presto negli ambienti mondani della città di Foligno, dove conobbe un uomo, che sposò a vent’anni e dal quale ebbe dei figli. La sua vita era spensierata, tanto da permettersi di disprezzare i cosiddetti “penitenti” – molto diffusi in quell’epoca – coloro, cioè, che per seguire Cristo vendevano i loro beni e vivevano nella preghiera, nel digiuno, nel servizio alla Chiesa e nella carità.

Alcuni avvenimenti, come il violento terremoto del 1279, un uragano, l’annosa guerra contro Perugia e le sue dure conseguenze incidono nella vita di Angela, la quale progressivamente prende coscienza dei suoi peccati, fino ad un passo decisivo: invoca san Francesco, che le appare in visione, per chiedergli consiglio in vista di una buona Confessione generale da compiere: siamo nel 1285, Angela si confessa da un Frate a San Feliciano. Tre anni dopo, la strada della conversione conosce un’altra svolta: lo scioglimento dai legami affettivi, poiché, in pochi mesi, alla morte della madre seguono quelle del marito e di tutti i figli. Allora vende i suoi beni e nel 1291 aderisce al Terz’Ordine di San Francesco. Muore a Foligno il 4 gennaio 1309.

Il Libro della beata Angela da Foligno, in cui è raccolta la documentazione sulla nostra Beata, racconta questa conversione; ne indica i mezzi necessari: la penitenza, l’umiltà e le tribolazioni; e ne narra i passaggi, il susseguirsi delle esperienze di Angela, iniziate nel 1285. Ricordandole, dopo averle vissute, ella cercò di raccontarle attraverso il Frate confessore, il quale le trascrisse fedelmente tentando poi di sistemarle in tappe, che chiamò “passi o mutazioni”, ma senza riuscire a ordinarle pienamente (cfr Il Libro della beata Angela da Foligno, Cinisello Balsamo 1990, p. 51). Questo perché l’esperienza di unione per la beata Angela è un coinvolgimento totale dei sensi spirituali e corporali, e di ciò che ella “comprende” durante le sue estasi rimane, per così dire, solo un’“ombra” nella sua mente. “Sentii davvero queste parole – ella confessa dopo un rapimento mistico -, ma quello che vidi e compresi, e che egli [cioè Dio] mi mostrò, in nessun modo so o posso dirlo, sebbene rivelerei volentieri quello che capii con le parole che udii, ma fu un abisso assolutamente ineffabile”. Angela da Foligno presenta il suo “vissuto” mistico, senza elaborarlo con la mente, perché sono illuminazioni divine che si comunicano alla sua anima in modo improvviso e inaspettato. Lo stesso Frate confessore fa fatica a riportare tali eventi, “anche a causa della sua grande e mirabile riservatezza riguardo ai doni divini” (Ibid., p. 194). Alla difficoltà per Angela di esprimere la sua esperienza mistica si aggiunge anche la difficoltà per i suoi ascoltatori di comprenderla. Una situazione che indica con chiarezza come l’unico e vero Maestro, Gesù, vive nel cuore di ogni credente e desidera prenderne totale possesso. Così in Angela, che scriveva ad un suo figlio spirituale: “Figlio mio, se vedessi il mio cuore, saresti assolutamente costretto a fare tutte le cose che Dio vuole, perché il mio cuore è quello di Dio e il cuore di Dio è il mio”. Risuonano qui le parole di san Paolo: “Non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20).

Consideriamo allora solo qualche “passo” del ricco cammino spirituale della nostra Beata. Il primo, in realtà, è una premessa: “Fu la conoscenza del peccato, – come ella precisa – in seguito alla quale l’anima ebbe un gran timore di dannarsi; in questo passo pianse amaramente” (Il Libro della beata Angela da Foligno, p. 39). Questo “timore” dell’inferno risponde al tipo di fede che Angela aveva al momento della sua “conversione”; una fede ancora povera di carità, cioè dell’amore di Dio. Pentimento, paura dell’inferno, penitenza aprono ad Angela la prospettiva della dolorosa “via della croce” che, dall’ottavo al quindicesimo passo, la porterà poi sulla “via dell’amore”. Racconta il Frate confessore: “La fedele allora mi disse: Ho avuto questa divina rivelazione: «Dopo le cose che avete scritto, fa’ scrivere che chiunque vuole conservare la grazia non deve togliere gli occhi dell’anima dalla Croce, sia nella gioia sia nella tristezza che gli concedo o permetto»” (Ibid., p. 143). Ma in questa fase Angela ancora “non sente amore”; ella afferma: “L’anima prova vergogna e amarezza e non sperimenta ancora l’amore, ma il dolore” (Ibid., p. 39), ed è insoddisfatta.

Angela sente di dover dare qualcosa a Dio per riparare i suoi peccati, ma lentamente comprende di non aver nulla da darGli, anzi di “essere nulla” davanti a Lui; capisce che non sarà la sua volontà a darle l’amore di Dio, perché questa può solo darle il suo “nulla”, il “non amore”. Come ella dirà: solo “l’amore vero e puro, che viene da Dio, sta nell’anima e fa sì che riconosca i propri difetti e la bontà divina […] Tale amore porta l’anima in Cristo e lei comprende con sicurezza che non si può verificare o esserci alcun inganno. Insieme a questo amore non si può mischiare qualcosa di quello del mondo” (Ibid., p. 124-125). Aprirsi solamente e totalmente all’amore di Dio, che ha la massima espressione in Cristo: “O mio Dio – prega – fammi degna di conoscere l’altissimo mistero, che il tuo ardentissimo e ineffabile amore attuò, insieme all’amore della Trinità, cioè l’altissimo mistero della tua santissima incarnazione per noi. […]. Oh incomprensibile amore! Al di sopra di quest’amore, che ha fatto sì che il mio Dio si è fatto uomo per farmi Dio, non c’è amore più grande” (Ibid., p. 295). Tuttavia, il cuore di Angela porta sempre le ferite del peccato; anche dopo una Confessione ben fatta, ella si trovava perdonata e ancora affranta dal peccato, libera e condizionata dal passato, assolta ma bisognosa di penitenza. E anche il pensiero dell’inferno l’accompagna perché quanto più l’anima progredisce sulla via della perfezione cristiana, tanto più essa si convincerà non solo di essere “indegna”, ma di essere meritevole dell’inferno.

Ed ecco che, nel suo cammino mistico, Angela comprende in modo profondo la realtà centrale: ciò che la salverà dalla sua “indegnità” e dal “meritare l’inferno” non sarà la sua “unione con Dio” e il suo possedere la “verità”, ma Gesù crocifisso, “la sua crocifissione per me”, il suo amore. Nell’ottavo passo, ella dice: “Ancora però non capivo se era bene maggiore la mia liberazione dai peccati e dall’inferno e la conversione a penitenza, oppure la sua crocifissione per me” (Ibid., p. 41). E’ l’instabile equilibrio fra amore e dolore, avvertito in tutto il suo difficile cammino verso la perfezione. Proprio per questo contempla di preferenza il Cristo crocifisso, perché in tale visione vede realizzato il perfetto equilibrio: in croce c’è l’uomo-Dio, in un supremo atto di sofferenza che è un supremo atto di amore. Nella terza Istruzione la Beata insiste su questa contemplazione e afferma: “Quanto più perfettamente e puramente vediamo, tanto più perfettamente e puramente amiamo. […] Perciò quanto più vediamo il Dio e uomo Gesù Cristo, tanto più veniamo trasformati in lui attraverso l’amore. […] Quello che ho detto dell’amore […] lo dico anche del dolore: l’anima quanto contempla l’ineffabile dolore del Dio e uomo Gesù Cristo, tanto si addolora e viene trasformata in dolore” (Ibid., p. 190-191). Immedesimarsi, trasformarsi nell’amore e nelle sofferenze del Cristo crocifisso, identificarsi con Lui. La conversione di Angela, iniziata da quella Confessione del 1285, arriverà a maturazione solo quando il perdono di Dio apparirà alla sua anima come il dono gratuito di amore del Padre, sorgente di amore: “Non c’è nessuno che possa portare scuse – ella afferma – perché chiunque può amare Dio, ed egli non chiede all’anima se non che gli voglia bene, perché egli l’ama ed è il suo amore” (Ibid., p. 76).

Nell’itinerario spirituale di Angela il passaggio dalla conversione all’esperienza mistica, da ciò che si può esprimere all’inesprimibile, avviene attraverso il Crocifisso. E’ il “Dio-uomo passionato”, che diventa il suo “maestro di perfezione”. Tutta la sua esperienza mistica è, dunque, tendere ad una perfetta “somiglianza” con Lui, mediante purificazioni e trasformazioni sempre più profonde e radicali. In tale stupenda impresa Angela mette tutta se stessa, anima e corpo, senza risparmiarsi in penitenze e tribolazioni dall’inizio alla fine, desiderando di morire con tutti i dolori sofferti dal Dio-uomo crocifisso per essere trasformata totalmente in Lui: “O figli di Dio, – ella raccomandava – trasformatevi totalmente nel Dio-uomo passionato, che tanto vi amò da degnarsi di morire per voi di morte ignominiosissima e del tutto ineffabilmente dolorosa e in modo penosissimo e amarissimo. Questo solo per amor tuo, o uomo!” (Ibid., p. 247). Questa identificazione significa anche vivere ciò che Gesù ha vissuto: povertà, disprezzo, dolore, perché – come ella afferma – “attraverso la povertà temporale l’anima troverà ricchezze eterne; attraverso il disprezzo e la vergogna otterrà sommo onore e grandissima gloria; attraverso poca penitenza, fatta con pena e dolore, possederà con infinita dolcezza e consolazione il Bene Sommo, Dio eterno” (Ibid., p. 293).

Dalla conversione all’unione mistica con il Cristo crocifisso, all’inesprimibile. Un cammino altissimo, il cui segreto è la preghiera costante: “Quanto più pregherai – ella afferma – tanto maggiormente sarai illuminato; quanto più sarai illuminato, tanto più profondamente e intensamente vedrai il Sommo Bene, l’Essere sommamente buono; quanto più profondamente e intensamente lo vedrai, tanto più lo amerai; quanto più lo amerai, tanto più ti diletterà; e quanto più ti diletterà, tanto maggiormente lo comprenderai e diventerai capace di capirlo. Successivamente arriverai alla pienezza della luce, perché capirai di non poter comprendere” (Ibid., p. 184).

Cari fratelli e sorelle, la vita di santa Angela comincia con un’esistenza mondana, abbastanza lontana da Dio. Ma poi l’incontro con la figura di san Francesco e, finalmente, l’incontro col Cristo Crocifisso risveglia l’anima per La presenza di Dio, per il fatto che solo con Dio la vita diventa vera vita, perché diventa, nel dolore per il peccato, amore e gioia. E così parla a noi santa Angela. Oggi siamo tutti in pericolo di vivere come se Dio non esistesse: sembra così lontano dalla vita odierna. Ma Dio ha mille modi, per ciascuno il suo, di farsi presente nell’anima, di mostrare che esiste e mi conosce e mi ama. E santa Angela vuol farci attenti a questi segni con i quali il Signore ci tocca l’anima, attenti alla presenza di Dio, per imparare così la via con Dio e verso Dio, nella comunione con Cristo Crocifisso. Preghiamo il Signore che ci renda attenti ai segni della sua presenza, che ci insegni a vivere realmente. Grazie. 

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