E. Bullesi, A. Lapini e L. Da Casoria

Egidio Bullesi, Venerabile

Terziario Francescano

Pola (Istria), 24 agosto 1905 – 25 aprile 1928

Egidio Bullesi

“La mia vita segue una stella”. E se la cosa è indispensabile al marinaio per orientare la rotta della propria nave, altrettanto dovrebbe essere per ogni cristiano. Per questo Egidio Bullesi, da buon marinaio, guarda costantemente al Vangelo e a Maria, le due stelle della sua vita. Che sboccia all’insegna della precarietà di bambino profugo già a 10 anni.
È nato nel 1905 a Pola, in un periodo in cui questa appartiene all’impero austriaco, terzo dei nove figli di un disegnatore tecnico navale impiegato all’Arsenale. All’inizio del primo conflitto mondiale la sua città viene dichiarata zona bellica e una parte della popolazione di origine italiana viene internata prima a Rovigno, poi a Graz.  Egidio, insieme a mamma e fratelli è tra questi profughi, mentre papà continua a lavorare a Pola; inizia così per il bambino un periodo di forte discriminazioni, angherie e soprusi; conosce la fame vera e impara anche a scazzottare per difendere la sua italianità. La disperazione lo riporta a 13 anni a Pola, a cercar lavoro nel cantiere in cui lavora papà. Lo trova, malgrado la giovanissima età e con la sua intelligenza, si fa strada e si specializza nel suo lavoro, mentre sul piano scolastico recupera ciò che ha perso da bambino, frequentando corsi serali di perfezionamento. Non perde tempo, insomma: lavora e studia, ma impara anche a portare Gesù nel cantiere, per farlo conoscere e farlo amare.
Nel 1920 entra nella Gioventù di Azione Cattolica, poi si lascia infiammare dalla predicazione di Padre Tito Castagna, un francescano tutto fuoco, che scalda ed entusiasma i cuori. Con effetto a cascata, tutta la famiglia viene contagiata, ma in Egidio la riscoperta della fede produce un irrefrenabile desiderio di annunciare e testimoniare la propria fede: a cominciare dal cantiere, ma anche in parrocchia, per strada, con i giovani. Si iscrive al Terz’Ordine francescano, aderisce alla Conferenza di San Vincenzo, diventa catechista e animatore di ogni iniziativa di carità. “Sento che è necessario infiammare i giovani e avviarli all’apostolato”, scrive e, proprio per questo, accorre ovunque ci sia un congresso di giovani dell’Azione cattolica o del Terz’Ordine. Nel 1921, a 16 anni, partecipa a Roma al Congresso Nazionale per il 50° della Gioventù Cattolica: ritorna con l’entusiasmo alle stelle e con il desiderio di far nascere anche a Pola un gruppo Scout, che si affianca ai primi gruppi di Aspiranti che ha già costituito, perchè i ragazzi gli si attaccano e lo seguono ovunque, contagiati dal suo entusiasmo e dalla sua voglia di fare.
Vive nella gioia, perché “questa vita è tanto bella e quindi perché rattristarci? Allegria, sempre allegri, ma nel Signore.” Nel 1925 è chiamato al servizio di leva in Marina: 25 mesi da vivere con 1300 commilitoni sulla “Dante Alighieri”, praticamente un paese sull’acqua. Anche qui Egidio non si smentisce e si trasforma in apostolo, esattamente come aveva fatto sulla terraferma: riesce a far nascere una sorta di club, battezzato “attività serali frigorifere”, perché si riunisce nei locali dei frigoriferi. Da questa singolare attività cameratesca arrivano alcune conversioni e addirittura una vocazione religiosa: Guido Foghin, prima indifferente e non praticante, dopo la morte di Bullesi “prenderà i Voti” diventando frate francescano, missionario in Cina e poi in Guatemala, e assumendo significativamente il nome da religioso di Padre Egidio-Maria.

Congedato il 15 marzo 1927, trova lavoro come disegnatore al cantiere navale di Monfalcone: il sacrificio di lasciare Pola e il suo apostolato è ben presto superato dal piacere di trovare anche nella sua nuova residenza tanto bene da fare tra i ragazzi, gli operai, nella San Vincenzo. Per quest’ultima si strapazza anche e un giorno arriva a casa con qualche linea di febbre; poi arriva una fastidiosa bronchite e alla fine lo ricoverano per tubercolosi a fine agosto 1928.
All’ospedale di Pola non si annoia, perché impara ad evangelizzare la sofferenza, insegnando come si fa ad accettare la malattia, il dolore e anche lo spettro della morte. “Se vivo, Gesù è la mia felicità. Se muoio, vado a godere il mio Gesù”, dice e glielo si legge anche in faccia. Fa voto, se guarisce, di farsi frate, ma intanto offre la sua vita e i suoi dolori per le missioni, per la Chiesa….Muore il 25 aprile 1929, a neppure 24 anni. La Chiesa ha già riconosciuto l’eroicità delle sue virtù, con la dichiarazione a venerabile del 1997; ora sono all’esame presunti miracoli per sua intercessione che dovrebbero portarlo definitivamente sugli altari.

Autore: Gianpiero Pettiti

 

 

In questi ultimi decenni vengono sempre più spesso alla ribalta, figure di laici impegnati, giovani e meno giovani, che hanno fatto la storia dell’Azione Cattolica Italiana, originari da ogni angolo d’Italia e che per il loro donarsi spassionatamente all’apostolato fra i laici, mettendo in pratica il motto programmatico dell’Associazione: “Preghiera, Azione, Sacrificio”, hanno meritato per la loro santa vita, l’avviarsi delle relative Cause di Beatificazione.
È il caso di Egidio Bullesi, il quale nacque a Pola (diocesi di Parenzo) nell’Istria e che allora apparteneva all’Austria, il 24 agosto 1905; terzo dei nove figli di Francesco e Maria Diritti, frequentò la scuola italiana, fino a quando nel 1914, scoppiata la Prima guerra Mondiale, dovette con la famiglia rifugiarsi a Rovigo in Italia.
Ma dopo la dichiarazione di guerra da parte italiana all’Austria, mentre il padre era rimasto a lavorare a Pola, lui con il resto della famiglia, si dovette trasferire a Szeghedin (Ungheria), Wagna (Stiria) e Graz (Austria).
Di carattere esuberante, impulsivo, istintivo, si sentiva profondamente italiano; per questo la famiglia Bullesi durante tutto il periodo della guerra, trascorse un periodo nero.
La famiglia ritornò a Pola, diventata italiana, dopo il 1919 e secondo i biografi ebbe un periodo di rilassatezza nella pratica religiosa. Ma l’adolescente Egidio si riprese ben presto, con l’arrivo dei padri Francescani, che prese a frequentare, prima nel santuario della Madonna di Siana e poi nel centro della loro attività, l’orfanotrofio di S. Antonio.
Intanto a 13 anni prese a lavorare come carpentiere nell’arsenale di Pola, dove nonostante la giovane età, si fece notare per la coraggiosa pratica della sua fede cattolica, specie in quell’ambiente di affermato socialismo, meritandosi comunque l’ammirazione e la stima di tutti.
Seguendo l’esempio della sorella Maria, il 2 luglio 1920 a 15 anni, s’iscrisse nelle file della Gioventù d’Azione Cattolica e il 4 ottobre dello stesso anno, volle diventare anche Terziario Francescano. Nel campo lavorativo passò poi dall’Arsenale al cantiere navale di Scoglio Olivi, sempre a Pola, tenendo ben alti e saldi i suoi principi religiosi e morali; puntuale nei suoi doveri di lavoratore, tenendo testa con garbo ed attenzione a tutte le obiezioni e contrapposizioni in campo religioso.
Con il suo entusiasmo di giovane istituì a Pola gli esploratori cattolici; aveva 19 anni quando si arruolò nella Marina Militare imbarcandosi sulla nave “Dante Alighieri”, anche qui operò il suo apostolato di giovane cattolico fra i circa mille marinai; diceva sempre: “L’Italia sarà grande solo quando sarà veramente cristiana!”. Dopo tre anni si congedò il 15 marzo 1927.
Nonostante la grande crisi del lavoro che attanagliava l’Italia, fu chiamato, tramite il fratello maggiore Giovanni a lavorare nel cantiere navale di Monfalcone (Gorizia), dove il lavoro non mancava in quel periodo di armamento militare, scaturito con l’avvento del Fascismo.
Anche a Monfalcone riprese il suo apostolato fra gli operai e dedicandosi anche alla ‘Conferenza di San Vincenzo’.
Ma la sua splendida testimonianza di giovane cattolico impegnato, era giunta al termine, verso la fine di febbraio 1928 si ammalò gravemente, la malattia fra alti e bassi si protrasse per due mesi, finché si spense a soli 24 anni il 25 aprile 1928.
Rivestito con la tonaca francescana fu seppellito nel cimitero di Pola; la fama della sua santità si diffuse rapidamente fra i marinai, dentro e fuori d’Italia e fra i membri dell’Azione Cattolica.
Per i noti motivi politici, che coinvolsero l’Italia e l’Europa, con il seguito della Seconda Guerra Mondiale e anche con la perdita dell’Istria, assegnata nel 1947 alla Jugoslavia, non si poté aprire la Causa per la sua beatificazione, fino al 6 dicembre 1974, quando finalmente fu aperta dalla Curia di Trieste.
La sua salma fu esumata dal cimitero di Pola e traslata definitivamente nell’isola di Barbana (Grado, Gorizia).
Con decreto del 7 luglio 1997, papa Giovanni Paolo II gli ha riconosciuto l’eroicità delle sue virtù e il titolo di venerabile.

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 Venerabile

Egidio Bullesi

(Bullesich)

1905 – 1929

Apostolo tra i ragazzi di Azione Cattolica, Scout, e della San Vincenzo.

giovane laico del Terz’Ordine francescano. 

 

 

«Posso esclamare:

ecco, la mia vita segue una stella;

tutto il mondo, così, mi pare più bello».

                  Egidio Bullesi

 

 

 

1905 Nasce a Pola, terzo di nove fratelli in una famiglia di  modeste condizioni.

1915 É profugo con la famiglia prima a Rovigno d’Istria, poi a Gratz.

1918 Torna a Pola, dove fa l’apprendista in un cantiere navale, impegnandosi in un opera di apostolato nel difficile ambiente di lavoro.

1920 In occasione di uno sciopero innalza il tricolore sulle gru più alte. Con due fratelli, dà vita all’Associazione Cattolica della Parrocchia, e diventa animatore dei giovani Aspiranti di Azione Cattolica.

1921 Partecipa a Roma al Congresso Nazionale per il 50° di fondazione dell’Azione Cattolica: vi ritorna carico di entusiasmo per lo Scautismo, ed è tra i promotori del Reparto Scout di Pola.

1925 Presta il servizio militare di due anni come marinaio, svolgendo una vivace opera di apostolato tra i commilitoni. Dopo il congedo, lavora come disegnatore nel cantiere navale di Monfalcone, ma presto la malattia lo obbliga a continue cure.

1928 Colpito dalla tisi lascia la casa per l’ospedale, dove resta fino alla morte, l’anno seguente.

 

Verso la fine di febbraio 1929 si ammalò gravemente, la malattia fra alti e bassi si protrasse per due mesi, finché si spense a soli 24 anni il 25 aprile 1929.
Rivestito con la tonaca francescana fu seppellito nel cimitero di Pola; la fama della sua santità si diffuse rapidamente fra i marinai, dentro e fuori d’Italia e fra i membri dell’Azione Cattolica.
Per i noti motivi politici, che coinvolsero l’Italia e l’Europa, con il seguito della seconda guerra mondiale e anche con la perdita dell’Istria, assegnata nel 1947 alla Jugoslavia, non si potè aprire la Causa per la sua beatificazione, fino al 6 dicembre 1974, quando finalmente fu aperta dalla Curia di Trieste.
La sua salma fu esumata dal cimitero di Pola e traslata definitivamente nell’isola di Barbana (Grado, GO).
Con decreto del 7 luglio 1997, papa Giovanni Paolo II gli ha riconosciuto l’eroicità delle sue virtù e il titolo di venerabile.

 

1997 Nel mese di luglio la Chiesa lo riconosce come Venerabile. La Causa di Beatificazione è ora all’esame a Roma.

 

“Sento che è necessario infiammare i giovani e avviarli all’apostolato”

Egidio Bullesi

 

“Questa vita è tanto bella e quindi perché rattristarci? Allegria, sempre allegri, ma nel Signore. Una allegrezza cioè che derivi dalla buona coscienza, dal dovere sempre compiuto e dall’amore, dall’amicizia con il Signore. Essere sempre felici nel Signore: ecco la nostra allegrezza!”.  

 

Queste parole che Egidio Bullesi scriveva ad un amico, sono rivelatrici della sua spiritualità, attinta dal Vangelo delle Beatitudini e, sull’esempio di San Francesco d’Assisi, vissuta nella luce della fede, nella gioia della speranza, nel fervore della carità e nella gioia di lodare Dio, servire Dio e il prossimo con la santità di vita e le opere di misericordia. [1][1]

Egidio nasce il 24 Agosto 1905 nella città di Pola italiana (Istria), allora sotto l’Impero Austro Ungarico, da una famiglia di modeste condizioni economiche; il cognome della famiglia, Bullesich, verrà italianizzato poco prima della sua morte (1929).

Durante la Prima Guerra Mondiale, quale città militare Pola deve evacuare la popolazione civile. Inizia per la famiglia Bullesi un periodo di dolorose peregrinazioni: internata dapprima a Rovigno d’Istria, poi – all’entrata in guerra dell’Italia – a Gratz, la famiglia di Egidio soffre davvero la fame.  

Nel 1918, al termine del conflitto,  Pola con l’Istria e la Venezia Giulia (abitate prevalentemente da italiani), vengono assegnate all’Italia. All’età di 13 anni Egidio può finalmente fare ritorno nella città natale, iniziando anche a lavorare come apprendista nel cantiere navale della città, diventando poi operaio specializzato.

Nel difficile e pericoloso ambiente di lavoro svolge una preziosa attività di apostolato tra i giovani.  In un periodo sociale di forti contrasti sociali e di violenti scioperi, Egidio sa imporsi quasi da solo contro la massa, non per ostilità verso i compagni, ma perché convinto che devono essere altri  i metodi per ottenere una vera elevazione sociale. Certo non gli manca il coraggio: quindicenne limpido e sereno in un’atmosfera di rancori, durante lo sciopero “rosso” del 1920 con altri pochi si inerpica come uno scoiattolo sulla più alta gru del cantiere per issarvi la bandiera Tricolore.

* * *

Entrato a far parte  nel luglio 1920 del Circolo giovanile dell’Azione Cattolica “San Francesco”, Egidio inizia l’opera di apostolato tra i ragazzi di Pola. 

«Non c’era bisogno di un occhio di lince per scorgere la miseria morale e materiale della vecchia città adriatica nell’immediato dopo guerra. Le strade, i moli, le rive mostravano lo spettacolo triste di tanti poveri ragazzi abbandonati a sé stessi,  bisognosi di una mano che li guidasse e di un cuore che li amasse. Bisognava avvicinarli, difenderli, educarli, prepararli alla vita». [1][2]

* * *

Nel 1921, in occasione del Congresso Nazionale a Roma, per il 50° della Gioventù Cattolica, a 16 anni Egidio viene designato dalla presidenza di Pola a rappresentare l’Associazione. 

A Roma le vessazioni contro i Giovani Cattolici  culminano in tafferugli e nell’arresto di alcuni di essi, fra i quali Pier Giorgio Frassati. Queste “accoglienze” si ripetono al rientro del gruppo a Trieste. 

Egidio è di fuoco, ma felice: «beati coloro che saranno perseguitati», diceva.

Dal Congresso di Roma, dopo averli visti nelle manifestazioni,  Egidio torna pieno di entusiasmo per i Giovani Esploratori, ed avanza così delle proposte per la costituzione di un Riparto Scout che, dopo qualche opposizione, viene approvato ad experimentum. 

A pochi giorni dalla festa del Corpus Domini,  Egidio fremeva desiderando che, in quella grande solennità, i Giovani Esploratori cattolici potesse prender parte anch’essi alla processione, e in uniforme, anche per poter essere conosciuti dalla cittadinanza. Sotto le mani volenterose di signore e ragazze, con l’aiuto dello stesso Egidio in un paio di giorni le uniformi scout furono pronte.

Lo stesso Egidio farà poi parte del Riparto San Michele.

Ma purtroppo il Decreto di scioglimento dello Scautismo (nel 1927 per i paesi e le città più piccole, e poi definitivamente nel 1928) distruggerà presto questa gioia, e di fronte alla prepotenza del governo fascista gli Esploratori devono riporre le loro Fiamme e le uniformi. 

Così il 9 febbraio 1927 Egidio scrive al fratello Giovanni (da La Spezia):

 «Puoi immaginare quale impressione mi fece la notizia dello scioglimento degli Esploratori. Ammirabile la vostra fortezza d’animo e la devozione al Vicario di Cristo, colla quale accoglieste sì dolorosa deliberazione. 

Ora, Giovanni, conservando uniti gli Esploratori, sarà bene costituire un Circolo a Panzano e federarlo alla Gioventù Cattolica, poi mantenere intatto lo spirito scautistico, evitando solo quello che può essere contrario alle intenzioni del Papa. 

E del resto continuare l’identica attività. Cercare quindi di tradurre in fatto il proverbio: l’abito non fa il monaco. Va bene?»

Pur soffrendo profondamente per la chiusura del Riparto scout, Egidio non abbandona il suo apostolato fra i ragazzini. Tiene “istruzioni”, racconta storie, spiega il Vangelo con semplicità, anima i giochi. I ragazzi si sentivano felici con lui, e a lui ricorrevano per un consiglio, per un aiuto.

La prima visita nelle licenze durante il servizio militare sarà, dopo casa, ai sui ragazzi.

* * *

Nel febbraio 1925, a diciannove anni Egidio è chiamato a prestare servizio di leva nella Regia Marina Militare, ed è imbarcato sulla nave “Dante Alighieri”, impegnandosi anche qui in una coraggiosa opera di apostolato cattolico fra i commilitoni per tutta la durata del Servizio Militare (dal 1925 al 1927).

«Con la branda sotto braccio, in alto sulla prua della nave, guardavo il cielo, pensavo a Dio fonte della mia gioia, della mia pace, della mia felicità», scriverà Egidio.

Questo periodo fu il più severo esame da superare per la difesa della fede e  dei suoi principi morali. Ricco però della forza di Dio, non solo si mantiene fedele agli impegni battesimali, ma  svolge un proficuo apostolato tra 1300 commilitoni, nei quali sa infondere la fede, l’osservanza della legge di Dio e la gioia della vita cristiana. 

Sulla nave militare “Dante Alighieri”  riesce a far nascere una sorta di club, trasformatosi poi in un vero e proprio circolo cattolico che sarà battezzato “attività serali frigorifere”, perché si riunisce nei locali dei frigoriferi della nave da guerra. Questo gruppo diventa un circolo cristiano, un “Circolo della Purezza” i cui soci si impegnano a vivere la castità, e questo in modo fraternamente allegro e cameratesco.

Tanti gli episodi che si potrebbero raccontare di questo periodo vissuto come marinaio (…e per questi possiamo rimandare ad una delle biografie). Ne ricordiamo solo uno.

Durante la navigazione, alla fine di luglio del 1925, una sera sbarcò ad Augusta, in Sicilia. Mentre gli occhi guardano stupiti le novità meravigliose di una terra mai vista, dal fondo affiora la malinconica nostalgia dell’azzurro istriano e della casetta piena di fratelli, con una mamma ed un papà che lo pensano sempre.

Passando vicino ad una chiesa sente un chiasso di bambini. Ricerca la porta che pare condurre dove il cuore lo attira. 

Pochi giorni dopo scrive alla sorella Maria da Siracusa(3 agosto 1925):

«Trovai un circolo di molti giovani, assieme a un giovane assistente ecclesiastico. M’intrattennero molto bene e mi accompagnarono a visitare la bella chiesa del luogo. Ma i giovani, quei giovani, quanto li trovai buoni, veramente cattolici: premurosi, gentili, generosi, insomma avevano tutte le buone qualità di giovani, cattolici. Dissi loro molte cose (erano tutti più giovani di me) e, sai, come usiamo noi a Pola, me li presi a braccetto. Passeggiando, incontrai la ronda, la salutai, ma fatti due passi mi sentii chiamare:

–     Marinaio. Mi voltai rapidamente e mi piantai sull’attenti.

–     Non sai che è proibito andare a braccio con i borghesi? mi disse il capo ronda.

–     Aiuto babe! pensai tra me.

–     Come ti chiami?

–     Egidio Bullesi.

–     Hai qualcosa per confermarmelo? Penso un momento ed estraggo la tessera dell‘Associazione. Il capo mi guarda e dice:

–     Vedo che devi essere un giovane dabbene; non passeggiare più a braccio con borghesi e va’.

Cosa si può pensare di questo? Sarà un caso, ma noi cattolici vediamo l’opera della provvidenza di Dio. La tessera della Gioventù Cattolica mi ha mirabilmente salvato dal primo, inevitabile altrimenti, rapporto, che mi sarebbe costato alcuni giorni di prigione di rigore».

Una ronda per bene… : dappertutto c’è tanta brava gente.

In un libro appartenuto ad Egidio si leggono dei versi: spiccano sottolineati tra i tanti. Sono di Santa  Teresa di Gesù Bambino:

“Viver d’amore è navigare, ognora

gioia spargendo e riso attorno a me”.

 Nel testo originale si trova «attorno a sé». Egidio l’ha corretto e sottolineato: «attorno a me». E, sottolineando così deciso, pensa:

«Questa sarà la mia missione: gioia, riso, amore; questo il mio messaggio sul mare».

* * *

Tremò di gioia  quando poté stringere tra le mani il congedo, ma c’era pure un velo di malinconia. Ormai sulla corazzata “Dante” si era come di casa, ci si voleva bene e si faceva del bene. In una lettera mandata da La Spezia il 20 febbraio 1927, ormai prossimo al congedo, scrive:

«Lascerò il servizio militare felice e orgoglioso d’aver dato alla Patria nostra coscienziosamente l’opera mia per oltre due anni e d’averla servita con fedeltà ed onore».

Brillano alcune conversioni tra gli amici commilitoni, frutto dell’azione di apostolato di Egidio Bullesi. Tra questi, il giovane amico Guido Foghin dopo la morte di Bullesi “prenderà i Voti” diventando frate francescano, missionario in Cina e poi in Guatemala, e assumendo significativamente il nome da religioso di Padre Egidio-Maria Foghin…

* * *

Egidio aveva completato i suoi studi diventando disegnatore tecnico e, dopo il servizio militare, viene assunto con quella qualifica nel cantiere navale di Monfalcone. Continua l’opera di catechista e presta il suo servizio con entusiasmo nell’Opera di Carità di San Vincenzo.   

Così scrive Egidio:

«Si tratta di salvare molte anime di fanciulli: 

si tratta di orientarle per tuta la vita verso Nostro Signore, verso il suo Cuore.

Si tratta di dare all’Italia nostra la giovinezza di domani, forte e pura, colta e pia, si tratta di popolare il Cielo di Santi».

 

* * *

Ammalatosi di tubercolosi, il 29 Agosto 1928  viene ricoverato nell’ospedale di Pola, dando durante la lunga malattia esempio di forza d’animo e serenità francescana, arrivando anche ad offrire la sua vita per i missionari.  

Egidio Bullesi “tornò alla Casa del Padre” il 25 Aprile 1929, a 23 anni e 8 mesi.  

 Questa volta non parte solo dalla sua casetta, come quando al mattino si recava nell’antica cattedrale di Pola per ricevere l’Eucaristia; o quando la sera, dopo una cena affrettata, usciva a discutere piani di conquista per il Regno di Dio o a caccia di anime. Tanti lo seguivano.

Aprivano il corteo funebre i bambini, poi i fanciulli dell’orfanotrofio che avevano conosciuto il sapore del pane “lievitato” dai risparmi sulla magra paga militare; i Terziari Francescani e le Associazioni, i suoi Aspiranti di A.C., i Padri francescani, e il consigliere spirituale Don Antonio Santin (futuro Vescovo di Trieste).

Dando l’estremo saluto dopo la cerimonia in Duomo, nel cimitero don Santin concluse con queste parole:

«…E non spargiamo lacrime, perché più che pianto, Egidio deve essere invidiato ed imitato. Non preghiere per lui, ma bensì attendiamo una pioggia di grazie per sua intercessione».

* * *

Dichiarato Venerabile nel luglio 1997 dalla Chiesa,  la causa di Beatificazione è ora sotto esame a Roma.

Dal 1974 l’urna contenente il corpo del venerabile Egidio Bullesi è custodita in una cappellina nei pressi del Santuario della Beata Vergine di Barbana (Grado).

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LETTERE

 

Alcuni brani tratti da lettere del Venerabile

Egidio Bullesi

(Bullesich)

1905 – 1929

Apostolo tra i ragazzi di Azione Cattolica, Scout, e della San Vincenzo.

giovane laico del Terz’Ordine francescano. 

 

 

 

 

Per “fare memoria”, ascoltiamo le parole che Egidio rivolge anche ai giovani di oggi, ai capi scout e agli educatori…

 

Egidio l’11 novembre 1925 scrive questa lettera al consigliere spirituale don Santin (futuro Vescovo di Fiume e poi Vescovo di Trieste e Capodistria), con l’invito a condividerla con l’amico Amedeo, il quale si occupava allora – pur non sentendosi all’altezza dell’incarico – del gruppo giovanile degli Aspiranti.

 

“Povero Amedeo, a riguardo degli Aspiranti!

Comprendo come una cosa è parlarne e scrivere da lontano, e un’altra è vivere insieme tutte le difficoltà con tutte le debolezze nostre.

In ogni modo, speriamo bene, io prego sempre per quelli che s’occupano dell’educazione cristiana dei ragazzi e per i ragazzi stessi”

 

Egidio Bullesi, nella lettera del 16 luglio 1926 all’amico Amedeo, parla dell’apostolato e di come lui agisce tra gli amici sulla nave militare “Dante Alighieri” (commilitoni con i quali aveva formato una sorta di club, trasformatosi poi in un vero e proprio circolo cattolico che avevano battezzato “attività serali frigorifere”, perché si riunivano nei locali dei frigoriferi della nave da guerra).

 

“Sapessi Amedeo, come il vero apostolato non ammette tregua, né periodi d’indifferenza; ma vuole ad ogni costo, cercando e studiando le più svariate forme, i modi più straordinari in fatto di affettuosità, di condiscendenza e d’amore per ottenere spesse volte ostinate ripulse, avversioni e giudizi spregiativi!

Ma infine, ci sono le belle vittorie che il Signore concede a chi persevera senza debolezze. Veri miracoli queste vittorie, impossibili a spiegarsi per noi uomini che non con la fede, la vera, la ferma e forte fede.

Ma quante fatiche, ho detto, e quanto da fare!… Siano confidenze, queste, fatte a te, Amedeo, che in te solo rimarranno, segno di amicizia santa, perché sappilo, il tempo mio mi è scarso e tutte le ore libere dal servizio [sulla nave militare] sono con ‘essi’, con l’uno o con l’altro dei diversi amici e nelle ore più remote sono con i preferiti, con i più intimi.

E quante volte, dopo salutati tutti, io mi intrattengo ancora con qualcuno, e questi è Gesù, al quale chiedo tutto ciò che vedo necessario per l’anima e per l’avvenire di questi miei veri amici”

 

 

 

 

 

Egidio Bullesi, nella lettera del 27 luglio 1926 al suo consigliere spirituale, don Antonio Santin, scrive:

 

“Caro don Antonio, preghi tanto per me, perché sempre più mi convinco, dall’esperienza che faccio, che noi tanto possiamo, tanto otteniamo dal Signore, quando preghiamo.

L’apostolato è un termometro che scende e sale in rapporto a quanto si prega. E ben lo vedo certe volte, che con le ragioni più stringenti non riesco a persuadere, ed invece con una preghiera confidente, viva, all’indomani è ottenuto.

Oh, come è bella la dottrina cristiana, com’è bella la fede, don Antonio, com’è bello l’apostolato che ci porta a dare generosamente, a imitazione di Gesù, quello che in copia noi abbiamo ricevuto,

L’apostolato è davvero l’esplicazione più bella di un’anima cristiana, l’attività più degna dei figli di Dio”.

 

Egidio Bullesi, nella lettera da Gaeta del 16 febbraio 1927, al consigliere spirituale don Antonio Santin, scrive parole utili ad una riflessione spirituale per ogni educatore cristiano (… e capo scout!).

 

“Il mio amore per i misteri divini aumenta sempre più, sento un pieno nell’anima mia, nel mio cuore, che spesso mi sembra trabocchi; mi viene a volte di dover lasciare il lavoro ed andare in cerca di chicchessia per scambiare qualche buona parola, e non trovando nessuno, di dover pregare e ringraziare il Signore.

Oh, com’è buono Iddio!

Sento che è necessario infiammare i giovani ed avviarli all’apostolato per mezzo della preghiera e dell’Eucaristia: vorrei che un turbine trascinasse tutti i giovani per questa strada: tanti sono i mali da rimediare, tanti i difetti da correggere, tante le anime da salvare.

Poveri giovani, quanti non conoscono questa bella, grande fede, quanti non provano questi divini sublimi amori: quanti non amano Gesù e, al contrario, tuffandosi nel fango delle passioni e dei piaceri, ne provano le troppe amare delusioni, riportando tante gravissime, forse inguaribili ferite.

Che più fare per questi giovani? Come trovare per loro un rimedio? Se sono sordi ad ogni preghiera, se rifiutano ogni invito?  Ecco il problema che un giovane non preparato alla scuola della preghiera e dell’Eucaristia non sa risolvere, e forse, deluso e scoraggiato anche lui, si lascia portare a più facili opere ed abbandona questa grande e tanto necessaria opera di redenzione.

Qui è necessario amore, ma grande, ma forte amore, che trasformi il nostro cuore secondo il cuore di Gesù, qui è necessaria la preghiera, ma preghiera fervente, devota e confidente che strappi le grazie al Signore; e poi è necessaria l’Eucaristia: l’unione col corpo di N.S. Gesù Cristo; divenire un sol corpo, un’anima sola con lui, il Maestro, il Cristo, l’Onnipotente.

 Ed allora cosa è impossibile? Nulla!

Questo è l’apostolato delle cose difficili: unirsi a Dio, invocarlo e dirgli: “noi siamo incapaci, fai tu”.

Ma vi è un altro apostolato dove il Signore vuole l’azione nostra.

È l’apostolato della formazione dei ragazzi che richiede tutta la nostra buona volontà, tutto il nostro spirito di abnegazione e di sacrificio.

Si tratta di nascondersi alla vista degli altri, essere sconosciuti o, meglio ancora, trascurati ed avere per compagno Gesù.

Si tratta far conoscere Gesù ai fanciulli, di formare i giovani cuori all’amore divino, d’istruire quelle giovani menti nella religione, d’avviarli alla vera vita cristiana, di formare veri apostoli.

Si tratta di condurli per mano sulla via del Paradiso.

Per tutti questi bisogna scuotersi, chiedere la grazia al Signore per divenire più conformi  alla sua volontà.

Occorre spesso chiederci seriamente se si fa abbastanza, se il Signore è contento di noi, oppure vuole di più: più Eucaristia, più Apostolato, più uniti a Lui solo.

Rileggendo ora quello che ho scritto, quasi quasi non vedo lo scopo d’inviarle questa lettera.

Perché nello scrivere commetto sempre il medesimo errore, cioè quello di portare acqua al mare; ma mi creda, non è per questo che le scrivo, quanto per rendere consapevole di questi miei sentimenti Lei, ministro di Dio, perciò segno della mia massima stima e confidenza.

Quasi per rinforzarmi e sempre progredire in queste mie convinzioni e assecondare sempre più la grazia che mi dà il Signore; confidandomi a Lei, la faccio testimone e garante dell’anima mia, pregandola di consigliarmi meglio se sbaglio, di richiamarmi se transigo, o di rimproverarmi se dovessi un giorno essere infedele a queste mie attestazioni, ed anche indirizzarmi sempre più in alto”.